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I Celti, Guerrieri Della Madre Terra

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†FOREST IS MY THRONE†
view post Posted on 9/2/2011, 03:09




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I Celti: da molti anni questo antico popolo con le sue tradizioni, cultura, religione e leggende ha affascinato tutti per la sua singolarità. Di recente alcuni studi comparativi hanno messo in luce una enorme quantità di similitudini linguistiche e religiose tra culture differenti come quelle irlandesi, scandinave, dell’India e del nord Africa. Tra l’altro sembrerebbe che gli stessi Druidi celti abbiano molto in comune con gli sciamani dell’est europeo e con i bramini indiani. Nel libro di Iman Wilkens “Where Troy Once Stood” viene riferito che persino alcuni nomi ritornano, pressochè identici, tra oriente e occidente. Uno scambio culturale su così larga scala geografica deve aver preso molti secoli per svilupparsi, attraverso il mediterraneo o via terra per le pianure russe. I celti sarebbero dunque giunti in Inghilterra e Irlanda in parte via terra, sbarcando poi sulle coste atlantiche delle terre britanniche attorno al 1500 a.C. Altri celti invece sarebbero giunti via mare, navigando da oriente a occidente in cerca di stagno e legno.

Gli stessi “Figli di Mil” che secondo al leggenda sarebbero i diretti antenati degli irlandesi avrebbero vissuto a lungo nella Scizia, a est dei monti Carpazi e del fiume Don. Nell’800 a.C. le popolazioni scite di ceppo celtico erano dedite al nomadismo e all’allevamento di cavalli. Narra una leggenda che in quel periodo un serpente morse Gaedhuil, che era il nipote di Fenius, re dei celti. Fenius portò il ragazzo ferito da Mosè, che lo guarì con il suo bastone miracoloso capace di lenire ogni malattia, e gli consigliò di trasferirsi più a occidente, dove avrebbero trovato un isola in cui non esistevano i serpenti (l’Irlanda è nota ancora oggi per questa caratteristica). Che la leggenda sia storicamente attendibile o meno, indica però un sicuro contatto tra popolazioni celtiche e semitiche nell’area del sud-est europeo in tempi remoti, e confermerebbe l’ipotesi della lenta migrazione dei celti, migrazione che porterà idee e fondamenti culturali celtici in tutta europa. Così, nel loro lungo viaggio i celti diedero nuovi nomi a posti preesistenti, persino a città e continenti. Ad esempio il nome della città di Lione deriva da quello del dio Lugh, Marsiglia da Massalia e così via.

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Per gli antichi greci i celti erano gli equivalenti degli Iperborei, il popolo del nord Europa dove Apollo si recava ogni inverno. Erotodo parla delle terre dei celti che stanno “Al di là delle colonne d’Ercole”, mentre Aristotele affermava che in tempi passati – prima del grande impero romano – i celti avevano addirittura battuto Roma stessa. Ellenico di Lesbo descrive i celti come un popolo giusto e che applicava la giustizia, mentre Platone al contrario li definiva “litigiosi ubriaconi”. È vero che nella cultura celtica il pasto era non solo un momento di riunione della collettività ma anche una occasione per lanciare sfide e iniziare duelli cruenti, e che spesso tali sfide erano favorite dall’abbondante uso di birra, ma è pur vero che nelle dispute civili e nell’amministrazione dei beni comunitari i celti erano senza dubbio una popolazione all’avanguardia per l’epoca.
Non a caso i celti, prima dell’avvento dell’Impero Romano, avevano conquistato mezza Europa: Spagna, Francia, isole britanniche, la valle del Danubio e la pianura Padana, conquistarono l’Illiria mentre con i i greci giunsero a patti. Lo stesso Alessandro Magno preferì averli come alleati. Dovunque arrivassero i celti portavano civiltà, arte artigianale, religione, scrittura, stabilità sociale, e in Europa formavano sempre la casta dominante e aristocratica. La religione dei celti, devoti alle forze naturali e alle divinità ancestrali, viveva la reincarnazione come una realtà quotidiana e il rispetto della natura come una parte fondamentale della propria esistenza. I loro templi, affermavano i letterati greci sgomenti e un pò disgustati, erano semplicemente degli spiazzi o radure nei boschi con un semplice altare di pietra, o al limite qualche pietra posta in circolo, senza nessuna velleità architettonica. D’altro canto i celti sostenevano che nessun tempio, per quanto ricco e finemente ornato, poteva essere ospitale per un dio più della grandezza del cielo e della vastità della terra. Non va fatta confusione a questo punto con strutture britanniche più complesse – come la stessa Stonehenge che all’origine era una costruzione molto grande e articolata – perché non furono i celti a costruirle. A proposito di Stonehenge i celti confessarono ai primi romani giunti in Inghilterra che quando i loro antenati arrivarono in quelle terre “trovarono Stonehenge già fatta”, non si sa bene da chi e da quanto tempo. Ovviamente poi incorporarono il santuario di pietra nei loro riti naturalistici e non è escluso che altri cirocli di pietra – più piccoli e di fattura più semplicistica – vennero fatti in seguito per imitazione.


BARDI, BANFAITH E BERSERKER

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I Bardi nella società celtica erano cantori e poeti, ma anche iniziati di vari livelli: dal novizio o apprendista “Mabinog” fino al più anziano e saggio capo druido, un grado noto col termine di “Penderwydd”.
I Bardi non erano semplici poeti e basta: si narrava che per loro lo studio dei canti e delle parole in rima facesse parte di un apprendistato magico, e che fossero dotati di terribili poteri. Nel classico finlandese Kalevàla si descrivono le arti magiche di un bardo, un ragazzo a nome Väinämöinen che con i suoi canti riusciva a compiere incredibili prodigi. Il testo recita: “Lasciamo che la gente conosca le parole di magia, e rammenti le nostre canzoni e leggende, sulla cintura di Väinämöinen, sulla forgia di Ilmarinen, sulla spada di Kaukomieli, sull’arco di Joukahainen: degli estremi confini di Pohja, e sulle vaste terre di Kalevala”.
Nello stesso pantheon nordico la figura del bardo o cantore magico era stimata e ben nota: nella stretta cerchia dei terribili dèi di Asgard, ad esempio, v’era Bragi, marito di Idun la dispensatrice di immortalità, noto per la sua eloquenza e la sua conoscenza di canti e versi. Tra i Tuatha De Danann figurava invece Ogma, figura terrificante capace di annientare interi eserciti solo intonando dei canti magici. Tra i Vichinghi lo stesso Odino era un mago che pronunciava potenti rune per compiere prodigi di qualsiasi tipo: fermare una freccia in volo, spegnere gli incendi, o rendere un’arma infallibile.
Ma nella cultura celtica non mancavano figure femminili di rilievo, ad esempio le Banfáith, antiche profetesse celtiche che si riteneva che parlassero al popolo in nome del dio Dagda. Come i Bardi, anche le Banfáith erano trattate con rispetto e ammirazione nella società celtica, e spesso consultate come sagge consigliere. Ma avevano anche il terribile potere della predizione, e annunciavano gli eventi futuri cantandoli e suonando l’arpa celtica.

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I terribili poteri del popolo celtico non si fermava però alla magia dei bardi: anche i guerrieri, infatti, avevano delle qualità sovrumane. Oltre ai normali soldati o guerrieri, tra i celti v’erano delle truppe d’Elìte, uomini addestrati ad usare facoltà particolari per diventare invincibili in battaglia. La stessa Historia Britannicum dei romani narra come spesso i celti dell’estremo nord andassero a combattere seminudi, senza scudi e con terrificanti disegni e tatuaggi incisi sul corpo. Queste erano solo alcune delle caratteristiche dei guerrieri noti come Berserker (guerrieri-orso) o Ulfhedinn (Guerrieri-lupo). Alcuni ritengono che il loro nome derivi da “bear-sark” ossia “camicia d’orso”, per via delle pelli di animali che indossavano. La Ynglingasaga nordica li descrive “privi di cotta di maglia o armatura vanno in battaglia, solo coperti da pelli di animali, e si comportano come cani selvaggi o lupi feroci”. Tali guerrieri nel nord europa erano guerrieri sacri a Odhinn e Thor, e la loro esistenza è confermata in età storica attorno al 500 d.C. presso i reggenti di Danimarca. Nella “Saga di Hrolf” si parla di Bjarki, un eroe che combattendo per il re Hrolf uccise da solo più avversari che tutti i suoi soldati messi assieme. Sembra che i Berserker avessero molte qualità magiche, e fossero in grado, ad esempio, di rimanere nudi nella neve senza sentire il freddo e anzi di scioglierla con il loro calore corporeo (bear’s warmth). Erano invulnerabili da qualsiasi arma, potevano vedere a distanza, combattere per ore senza stancarsi e, più incredibile che mai, potevano trasformarsi nel proprio animale totemico o perlomeno dimostrarne le stesse caratteristiche di ferocia e forza sovrumana. In realtà è riportato che durante i combattimenti i Berserker montavano in una furia combattiva disumana che sfiorava la pazzia: sovente attaccavano indistintamente amici e nemici. Alcuni ricercatori ritengono che forse l’iniziazione prevedeva l’uso di potenti droghe capaci di alterare il metabolismo del guerriero, rendendolo temporaneamente molto forte, feroce e insensibile al dolore delle ferite. Howard H. Fabing nel suo “Going berserk: a neurochemical inquiry” sospetta l’uso del fungo Amanita Muscaria o qualcosa di simile per le pratiche iniziatiche dei guerrieri nordici. Il folklore vuole invece che fossero “invasi” dallo spirito dell’animale stesso, o forse dallo spirito di un dio. Più incredibile è l’apparizione, spesso riportata, di animali come orsi o lupi nel corso di alcune battaglie tra romani e celti, che combattevano a fianco di quesi ultimi. Forse solo un caso, ma per i celti si trattava di Berserker che si erano trasformati in animale. Ultimamente qualcuno ha ipotizzato che i Berserker, esperti anche in Stance, ossia la meditazione nordica simile per alcuni versi al Za Zen, si ponessero in trance e proiettassero il loro corpo astrale dentro un animale del bosco, diventando così capaci di guidarne i movimenti a distanza. Quale che sia la verità, è probabile che dietro alle più recenti leggende popolari di licantropi riecheggi il vago ricordo dei terribili guerrieri del lupo e dell’orso.



I TUATHA DE DANANN

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L’idea del dio o della divinità che trova più confortevole il bosco o la collina nuda senza edifici ha lontane origini, si perde nella concezione celtica del Sidhe. Il Sidhe o Sith è una collinetta o grosso tumulo di terra che nel folklore celtico è abitata dal Popolo Fatato, ovvero esseri immortali che nella fantasia popolare si ricollegano ai mitici Tuatha De Danann, il “Popolo della dea Dana”. Dana, o Anu, era la dea madre tutelare dei Tuatha, e tale fu considerata anche da tutto il popolo celtico.


Il Leabhar Gabhála (Libro delle Invasioni) è il più importante documento leggendario sulla antica storia dei popoli irlandesi e gaelici. Scritto nell’ 11° secolo, riprende più antiche narrazioni orali e narra della creazione del mondo secondo la mitologia celtica e dell’origine dei popoli gaelici. Secondo la tradizione, i Tuatha de Danann sbarcarono in Irlanda nel Connaught, il 1° maggio, ossia nella festività del Beltane. “Con le loro navi di fiamma che solcavano i cieli, talmente grandi che oscurarono il sole per tre giorni, approdarono su una montagna irlandese. Poi, col favore della nebbia uscirono fuori dalle navi e sbarcarono...” Secondo gli storici tale racconto intende che, una volta sbarcati da altre terre, i Tuatha semplicemente bruciarono le navi (le navi di fiamma) perchè non intendevano tornare da dove venivano, e la “nebbia” sarebbe forse solo il fumo provocato dall’incendio delle navi. Ma certo che rimane qualche interrogativo a proposito. Erano davvero solo normali navi? Oppure i Tuatha De Danann provenivano da molto più lontano di quanto pensino gli studiosi attualmente? E gli incredibili poteri e strumenti che aveva a disposizione il “popolo fatato” erano solo frutto del mito?
Ad esempio, Diancecht, il dio della medicina dei Tuatha, aveva un enorme calderone dalle incredibili proprietà magiche. Immergendovi un ferito questo ritornava sano in poche ore, e se ci si immergeva addirittura un morto, questo ritornava in vita, a patto che non gli fosse stata staccata la testa o leso il midollo spinale. Questi dettagli danno da pensare, e non poco: se era solo magia, perché era importante la materia cerebrospinale? Ora, grazia ai progressi medici, sappiamo che le cellule umane si possono riformare da sole una volta danneggiate, tutte tranne i neuroni, che si trovano appunto in dette zone. Forse la tecnologia medica di Diancecht si basava e potenziava questo principio di rigenerazione cellulare, e ne possedeva le stesse limitazioni? Ma allora si trattava di un calderone, o più genericamente di un contenitore di acciaio con all’interno una particolare sostanza chimica rigenerativa?

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Altri strani poteri erano narrati dalle leggende. Ogma, il combattente per eccellenza dei Tuatha, era debole, fisicamente inconsistente e anche in età avanzata. Eppure riusciva a vincere molti avversari in battaglia, con la sua clava e i suoi canti. Una antica incisione lo mostra mentre una catena esce dalla sua lingua, terminando in più capi che imprigionano i suoi avversari per le orecchie. Alcuni studiosi ritengono che Ogma – fautore tra l’altro dell’omonimo alfabeto ogamico – fosse in realtà un bardo, un incantatore la cui vera forza risiedeva nella capacità di ammaliare le menti altrui.
Lugh, il dio della luce solare, eccelleva in ogni arte: dal combattimento alla poesia, al giudizio in pace come all’abilità in battaglia, nella quale si faceva valere grazie all’uso della lancia incantata proveniente da Gorias. Invece la Morrigan, terribile e oscura dea della guerra, incitava i soldati alla battaglia con i suoi canti portentosi, e sorvolava in forma di corvo i luoghi dello scontro.

Mannanan mc Lyr, il dio del mare celtico, aveva un carro che correva nel cielo valicando l’oceano da costa a costa, non dissimilmente da Freyr, dio vichingo a cui venne donato Gullinbursti, un cinghiale dalle setole d’oro che si poteva cavalcare, e che “corre notte e giorno per le vie del cielo e della Terra e sulle onde del mare, meglio di ogni altro corsiero... ovunque andrà, nella notte più fonda o nei mondi di tenebra, potrà sempre vedere innanzi a sè e si lascerà alle spalle una scia luminosa, poiché le sue setole d’oro irradieranno luce risplendendo nel buio”.
Il più grande tra gli dei celti era probabilmente Dagda, supremo capo del popolo della dea Dana e padre della dea Brigid. Suoi nipoti erano i re MacCuill, MacCehct e MacGrené, e tra i suoi appellativi v’erano “mitico dio della saggezza” e “Grande Padre”. È stato spesso associato al druidismo, suoi attributi erano il magico calderone dei Tuatha e la terribile clava da combattimento, entrambi importanti simboli religiosi della religione celtica.

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Cernunnos era il dio della fertilità e dei sacrifici, guardiano del mondo sotterraneo e protettore degli animali. Come viene raffigurato nel calderone di Gundestrup (secondo secolo d.C.) è in posa meditativa simile allo Yoga (stance), e ha in mano un torch (collare sacro dei celti indicante un rango nobile) e un serpente. Tale figura ha confermato presso gli studiosi le similitudini tra le funzioni sacrali celtiche e quelle induiste.
Govannon era il fabbro dei Tuatha e come l’Efesto ellenico fabbricava armi di terribile potenza e precisione. Le armi dei Tuatha erano speciali e non mancavano mai il bersaglio, quasi fossero “teleguidate”. Va citata la leggendaria Gae Bolga, terribile arma dell’eroe Cuchullain. Consisteva in un giavellotto molto pesante che il titanico eroe – metà Fomoro metà Tuatha – era capace di lanciare col piede. Tale giavellotto era formato da una punta di cinque lame, che si allargavano a stella una volta che entravano nel corpo dell’avversario. A quel punto era impossibile estrarre la lancia senza squartare il malcapitato. Si narra che la violenza della Gae Bolga era tale che poteva penetrare 5 uomini di fila e trapassarne scudi e corazze d’acciaio. Ma che cos’era davvero quest’arma terrificante?
Cuchullain stesso aveva delle caratteristiche a dir poco non umane: i testi antichi lo descrivono con “sette pupille in ciascun occhio, sette dita in ciascuna mano e piede. Le sue guance erano striate di giallo, verde, blu e rosso, e i suoi capelli erano neri alla radice e si schiarivano fino a diventare biondi in cima. Aveva centinaia di collane d’oro che gli scendevano sul petto, e se in tempo di pace era ammirato per la sua bellezza, in guerra terrorizzava i nemici: la pelle si ribaltava da dentro e diventava tutta rossa, le giunture gli si rovesciavano al contrario, i capelli si drizzavano e ad ogni ciocca si accendeva una fiamma, un getto di fiamme gli usciva dalla bocca e un flusso di sangue nero fuoriusciva dalla sommità del suo capo. Uno dei due occhi si rimpiccioliva mentre l’altro si estrudeva, e sulla fronte gli appariva la ‘luna dell’eroe’. La sua frenesia guerriera era tale che andava immerso di seguito in tre catini pieni di acqua ghiacciata prima di riportarlo alla temperatura normale”. Tali caratteristiche terrificanti, incluso il flusso di sangue dalla testa e il simbolo lunare sulla fronte fanno pensare a tratti tipici di divinità induiste come Siva o Kali, ma nel contempo altri elementi – come l’eptadattilismo e il numero di pupille – potrebbero confermare le origini decisamente non terrestri del buon Cuchullain.


LE QUATTRO CITTA' FANTASTICHE

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I Tuatha De Danann, stando al mito, provenivano originalmente da quattro grandi città: Falias, Murias, Gorias, Finlas. Da ognuno di questi reami avevano portato con sè un oggetto incantato: da Falias la Pietra di Fal, che urlava se un autentico successore al trono d’Irlanda ci si sedeva sopra. Da Murias il Calderone di Dagda che forniva infinite scorte di cibi e vivande; da Finlas la spada appartenente a Nuada Braccio d’Argento capace di infliggere colpi mortali ad ogni fendente, e da Gorias infine la Lancia di Lugh lungobraccio che non mancava mai il bersaglio una volta lanciata.
Dalle quattro città fatate erano giunti anche dei potenti maghi: Morfesa era giunto da Falias; Esras proveniva da Gorias; Uiscias era di Findias e Semias era nativo di Murias.

Alcuni nomi ci suonano familiari, specie quello di Semias che ricorda non poco Semeyaza, l’angelo caduto delle tradizioni ebraiche. E Murias, potrebbe essere forse un termine derivato da Mu o Lemuria? Queste città erano forse dei posti sulla Terra, come Atlantide e Mu, o forse erano addirittura luoghi celesti? La stesso nome della dea Dana ci fa sorgere altri sospetti. Dana o Anu o Don era la dea madre divina dei celti, nume associato col cielo e le stelle. Nei paesi celti si indicava la costellazione di Cassiopea col nome “Llys Don”, ossia la corte di Don o Dana. È solo folklore o forse i Tuatha avevano detto agli Irlandesi quale era la loro stella di provenienza?
Di certo i Tuatha non vennero accolti a braccia aperte dai precedenti abitanti dell’isola, I terribili Fir Bolg: giganteschi, ottimi guerrieri e dotati anch’essi di virtù magiche, avevano un solo occhio aperto e l’altro chiuso. Dopo alcuni infruttuosi negoziati, si entrò in conflitto aperto, ma i Fir Bolg ebbero la peggio. Diederò però tante e tali prove di coraggio che i Tuatha gli lasciarono volentieri il Connaught, prendendosi per sè il resto d’Irlanda.

Il re dei Tuatha, Nuada, perse il braccio combattendo i Fir Bolg. Incapace di combattere, non poteva più essere il comandante e capo dei Tuatha, e come regnante venne sostituito da Breas (che era in parte Formoriano). Breas regnò per sette anni i Tuatha, ma nel frattemo I Fomori, un’altra razza, era sbarcata in massa sulle coste Irlandesi. Nei negoziati tra Tuatha e Fomori re Bras favoriva sempre questi ultimi dato che gli erano parenti, e presto il malumore serpeggiò tra il popolo della dea Dana. Il trono gli venne tolto e tornò a Nuada, al quale nel frattempo il dio della medicina Diancecht aveva fatto un nuovo braccio, con l’argento, che funzionava perfettamente come quello che aveva prima. Sorge il dubbio che il buon Diancecht fosse più di un semplice medico, e il braccio metallico di Nuada a qualcuno potrebbe ricordare le protesi bioniche di Steve Austin!
Sia come sia, Breas ormai non più re torna piangendo dal padre Fomoro. Scoppia la battaglia tra gli ormai stanziali Tuatha e i nuovi invasori Fomori. Le leggende dicono che si svolse a Moytura, nella regione di Sligo. I Tuatha vinsero anche questa dura battaglia, e i Fomori vennero sconfitti una volta per tutte in Irlanda. Tuttavia Nuada perse la vita nello scontro, e quello che più si distinse per eroismo nella battaglia, Lugh, divenne il nuovo re.

Anni dopo fu invece Dagda a diventare re, e a Dagda successero i suoi tre nipoti MacCuill, MacCehct e MacGrené. Durante il regno dei tre nipoti, avvenne un’altra invasione dell’isola verde da parte dei Milesi, o figli di Mil, che vengono considerati i veri antenati degli irlandesi. Questa volta i Tuatha, ormai indeboliti e sparsi per l’isola, senza più i valorosi condottieri divini di una volta, vennero sconfitti. I Milesi gli permisero di restare in Irlanda, ma solo nei Sidhe, nel sottosuolo. Da quel momento in poi la loro esistenza si permea di leggenda, e le loro tracce si perdono nelle nebbie del mito: di loro si parlerà solo come del popolo fatato, compagni immortali di faeryes, leprechaun e banshee. Solo la notte del tra il 31 ottobre e il 1° novembre, per le poche ore che le tenebre concedono, le porte dei Sidhe si riaprono, e i Tuatha si riaffacciano al mondo. Pochi hanno il privilegio di vederli, e narra la leggenda che chi si mette a danzare e a gioire con il popolo fatato, ne rimane incantato a tal punto da decidere di rimanere con loro nel Sidhe e non tornare più. Dove siano le entrate del mondo sotterraneo lo sanno solo gli alberi, le rocce e la verde erba d’Irlanda, ma è un segreto che non riveleranno mai.

Fonte: www.strangedays.it
 
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